Il distacco di un singolo condòmino dall’impianto di riscaldamento centralizzato

dalla Redazione de “Il Condominio Nuovo”


Il distacco del singolo condomino dall’impianto di riscaldamento centralizzato ha costituito, fino ad oggi, una delle cause di maggiore litigiosità all’interno di un condominio.

La riforma del condominio (L. 220/2012), recependo l’orientamento della giurisprudenza maggioritaria, ha riscritto l’articolo 1118 c.c. ed ha consentito al singolo condòmino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma. In mancanza di tale nuova disposizione, il distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato integrerebbe un’ipotesi di innovazione vietata ai sensi dell’articolo 1120, secondo comma, c.c., per cui per il distacco anche di un solo condòmino sarebbe stato necessario il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.

Tale disciplina trovava la sua ragione logica nel fatto che una parte dell’impianto comune sarebbe diventato inservibile da parte degli altri condòmini, nonché nel fatto che l’impianto era stato progettato, dimensionato e costruito in funzione dei complessivi volumi interni dell’edificio cui deve assicurare un equilibrio termico di base.

Per tale motivo, il distacco di una o più diramazioni relative ad uno o più appartamenti dall’impianto centrale avrebbe potuto incidere negativamente sulla funzione obiettiva della cosa comune determinando uno squilibrio termico. Da ciò l’originaria previsione della Suprema Corte di Cassazione sent. n. 6269/1984 (16) di ritenere ammissibile il distacco solo quando:

– la rinuncia è prevista in un regolamento di condominio di tipo contrattuale;

– il distacco è autorizzato dai condòmini all’unanimità;

– è l’interessato stesso a dare prova che dal distacco deriverà un’effettiva e proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificherà più alcun squilibrio per l’impianto di riscaldamento centralizzato.

La stessa Cassazione sent. nn. 10214/1996 e 11152/1997 già ebbe ad operare una svolta perché, premessa la distinzione tra le spese di conservazione dell’impianto ex articolo 1118, secondo comma (riparazioni, ricostruzioni, ripristino) e quelle dovute in relazione all’uso, ebbe a stabilire, fin dai lontani anni 1996/1997, che queste ultime non erano dovute se l’impianto non era utilizzato (sent. 129/1999).

Più di recente, la stessa Cassazione ha ritenuto ammissibile il distacco senza la necessità di autorizzazione assembleare, purché lo stesso avvenga in modo tale da non pregiudicare la regolarità del servizio e venga mantenuto l’equilibrio termico dell’edificio (sent. 7518/2006).

Ai fini dell’accertamento dello squilibrio termico conseguente al distacco (quindi, per valutare la legittimità della rinuncia all’uso del riscaldamento centralizzato), la giurisprudenza ha chiarito che vanno escluse quelle variazioni di temperatura che potrebbero comunque verificarsi nelle unità immobiliari prossime all’appartamento distaccato, quale effetto – anziché del distacco – del non uso dell’impianto da parte del proprietario che, per sua scelta, decidesse di chiudere i propri radiatori (11857/2011).

Tale orientamento giurisprudenziale è stato recepito dalla legge di riforma del condominio, la quale, come già detto, ha riscritto l’articolo 1118 c.c. riconoscendo la possibilità a ciascun condòmino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, a condizione che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini (articolo 1118, comma 4, c.c.).

Ora il problema è che per come è congegnato il diritto previsto dalla nuova normativa esso sembrerebbe dar luogo ad un’antipatica questione: cosa accade se usufruito del diritto al distacco da parte dei primi proprietari, in seguito gli altri non potranno più usufruirne perché l’impianto è giunto al suo limite d’uso? In tale evenienza, solo i primi troveranno soddisfazione? Tutto ciò sembra essere profondamente ingiusto ma, il dato testuale della legge non lascia adito a dubbi. Ritorna in auge il famoso detto: “chi tardi arriva male alloggia”.


Tratto dalla sezione “Attualità” de “Il Condominio Nuovo”. Per leggere molti altri interessanti articoli collegati a: shop.ilcondominionuovo.it e abbonati alla rivista.

 

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