In caso di morosità dell’inquilino, il locatore non ha l’obbligo di emettere fattura e di versare l’Iva: egli è tuttavia tenuto a pagare le imposte dirette sino a quando non interviene l’ordinanza di convalida di sfratto. È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza di ieri.
La Suprema Corte traccia una netta linea di confine, qualora l’inquilino non paghi i canoni di affitto, fra imposte dirette (Irpef) e indirette (Iva).
Per quanto riguarda l’IVA, secondo i giudici le locazioni sono da considerarsi vere e proprie prestazioni di servizi per cui il momento in cui scatta l’imposta coincide con l’incasso effettivo del corrispettivo. Perciò, in caso di morosità del conduttore, il locatore non deve emettere fattura, né quindi sarà tenuto a pagare l’IVA.
Una imposizione fiscale di questo tipo, che tassa anche i redditi non percepiti, potrebbe sembrare chiaramente incostituzionale, perché prescinde dalla materiale ricchezza del contribuente. Eppure la Corte costituzionale si è già pronunciata sul punto stabilendo che il sistema di tassazione delle locazioni, che impone il pagamento delle imposte dirette anche in caso di morosità dell’inquilino, non è irragionevole dato che il locatore può avvalersi di tutti i rimedi apprestati dall’ordinamento per conseguire la risoluzione della locazione in modo da riportare “sollecitamente” la tassazione dell’imponibile sotto la normale regola del reddito fondiario secondo rendita catastale. Forse, però, la Consulta è troppo ottimista sui tempi di risposta dei nostri tribunali.
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