La responsabilità penale dell’amministratore

Avv. Giovanni Gialo’Redazione de “Il Condominio Nuovo”


L’amministratore è suscettibile di incorrere anche in responsabilità penale, quando commetta reati nell’esercizio delle sue funzioni. Dati i molteplici obblighi cui egli è tenuto, in caso di inadempimento troverà applicazione l’art. 40, secondo comma c.p. che disciplina il reato omissivo, il quale prevede che: «Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo». In questi casi, la giurisprudenza ha precisato che la fonte dell’obbligo può provenire da un ramo qualsiasi del diritto, quindi anche da quello privato. È chiaro quindi che per esservi reato vi deve essere un obbligo giuridico di attivarsi in un dato senso per prevenire eventi dannosi.

L’amministratore può incorrere in responsabilità penale, come ogni altro cittadino ad esempio quando commetta reati comuni nei confronti dei condòmini, quali l’ingiuria (art. 594 c.p.) o la diffamazione (art. 595 c.p.). Questo ultimo reato, ad esempio, può essere commesso dall’amministratore mediante affissione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, contenente la comunicazione della denuncia di un condomino da parte dell’amministratore stesso.

Altri reati comuni ravvisati a carico dell’amministratore sono la violazione di domicilio, ad esempio quando l’amministratore si introduca nell’appartamento di un condomino contro la sua volontà per effettuare delle verifiche autorizzate da delibera. Infatti, in caso di resistenza del condomino l’amministratore deve adire l’autorità giudiziaria.

L’amministratore può anche essere imputato di omicidio colposo o lesioni colpose a danno di condòmini o di terzi quando siano derivate dall’omissione di misure di sicurezza degli impianti elettrici condominiali o da mancata effettuazione di lavori urgenti sulle parti comuni del condominio.

Vi sono poi delle fattispecie di reato che sono configurabili per lo più proprio a carico dell’amministratore in quanto specificamente connesse alle mansioni cui questi è tenuto. In tali casi i reati commessi sono definiti propri, nel senso che possono essere commessi solo da chi riveste la qualifica di amministratore di condominio. Sul punto è opportuno precisare che la dottrina ha ritento responsabili, sia i cd. amministratori di fatto, sia i mandatari o i custodi, nei casi in cui non vi fosse la nomina esplicita dell’amministratore.

Innanzitutto, l’amministratore è stato riconosciuto responsabile in base all’art. 677 c.p. per l’omissione di lavori di manutenzione ordinaria, indispensabili al fine di scongiurare pericoli derivanti dalle parti comuni dell’edificio. La responsabilità dell’amministratore sussiste tuttavia solo per i lavori necessari alla manutenzione ordinaria, mentre per quella straordinaria egli ha il dovere di intervenire solo per le opere urgenti e improrogabili. Analogamente accade per gli intonaci pericolanti dell’edificio. La norma penale prevede che, anche un soggetto diverso dal proprietario può essere obbligato alla manutenzione o riparazione dell’edificio. Quindi, in un condominio in cui sia stato qualificato responsabile l’amministratore, grava su costui l’obbligo giuridico di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, che egli sia tenuto a conservare in buono stato. In tale evenienza, vi è responsabilità del proprietario di tipo solo sussidiario, quando l’amministratore non possa adempiere ai propri obblighi per cause non riconducibili alla sua volontà. Obbligo autonomo del proprietario si ravvisa nel momento in cui per fattori imprevedibili l’amministratore non sia in grado di attivarsi per evitare il pericolo di rovina già manifestatosi. Esauriente appare la spiegazione fornita sul punto dalla Cassazione, la quale ha affermato che «l’amministratore di un condominio, il quale agisca per conto dello stesso oppure per conto di un singolo proprietario, è titolare dei poteri relativi alla gestione e conservazione della cosa comune e dei servizi comuni, comprendendosi in tale accezione anche l’obbligo di attivarsi al fine di eliminare situazioni di pericolo che possano comportare una violazione dell’obbligo giuridico del neminem laedere».

L’art. 650 c.p. punisce con l’arresto fino a tre mesi chi non ottempera ad un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica ordine pubblico o igiene. La norma pur non essendo specifica, può trovare applicazione anche nei confronti dell’amministratore, quando gli sia stato ordinato di eseguire opere sulle parti comuni dell’edificio con caratteristiche rientranti nella disposizione. Così avviene per l’inadempimento di un ordine dell’Autorità notificatogli, che gli impone di ridurre la rumorosità dell’impianto di riscaldamento.

L’amministratore è responsabile in via esclusiva anche dell’uso di combustibili proibiti. Sussiste, infatti, la sua responsabilità penale nel caso di violazione della legge 615/1966, relativa all’inquinamento atmosferico, la quale impone l’obbligo di denunziare al comando dei vigili del fuoco l’installazione di un nuovo impianto termico di potenza superiore alle 30.000 kcal/h o la trasformazione o l’ampliamento di un impianto preesistente. La Corte di Cassazione in proposito ha precisato che ricadono sull’amministratore tutti gli oneri amministrativi riguardanti servizi comuni, compresi quelli relativi al servizio di riscaldamento centrale.

L’amministratore è responsabile anche in caso di mancata richiesta del certificato provvisorio antincendio e della domanda di rinnovo del certificato di prevenzione incendi.

Inoltre, la Corte di legittimità ha espresso l’avviso di configurare penalmente responsabile l’amministratore colpevole di aver omesso gli obblighi assicurativi e contributivi per il personale alle dipendenze del condominio.

L’amministratore è tenuto a versare i contributi previdenziali per tutto il personale dipendente assunto. Per questo illecito, è intervenuta la legge 689/1981, di riforma del sistema penale, la quale ha trasformato gli illeciti penali puniti con ammenda o multa in amministrativi, con conseguente pagamento solo di una somma di danaro in via liberatoria.

L’art. 37 della stessa legge ha lasciato in vita l’ipotesi reato per le omissioni di registrazioni o denunce obbligatorie o falsità nelle stesse.

Infine, la legge 689/1981 all’art. 126, nell’ottica di mitigare le pene per le violazioni minime, ha previsto la possibilità di definire buona parte di queste fattispecie attraverso l’istituto dell’oblazione qualora si tratti di contravvenzioni punibili alternativamente con la pena dell’arresto o dell’ammenda.

In questa sede è opportuno rilevare che il condominio, quando è anche datore di lavoro (ad esempio nei rapporti di portierato) deve garantire la sicurezza del luogo di lavoro, per esempio rispetto alle esposizioni pericolose ai campi elettromagnetici (art. 2087 c.c.).

Lo svolgimento di attività pericolose

L’obbligo giuridico di risarcire il danno prodotto per lo svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è posto dall’art. 2050 del codice civile a carico dell’esercente l’attività pericolosa il quale deve provare e dimostrare, per scagionarsi dalla responsabilità, di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Ai fini della responsabilità sancita dall’art. 2050 del codice civile debbono essere ritenute pericolose oltre alle attività previste dall’art. 46 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza e alle attività prese in considerazione per la prevenzione degli infortuni o per la tutela della incolumità pubblica, anche tutte quelle altre che, pur non specificate o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro o macchinari impegnati. Costituiscono, pertanto, attività pericolose tutte quelle che comportano rilevante possibilità del verificarsi di danni per loro natura o per le caratteristiche dei mezzi usati non solo nel caso di danno come conseguenza di un’azione, ma anche in caso di danno derivante da omissione di cautele. L’art. 2050 c.c. postula una successione continua e ripetuta di atti che si svolgono nel tempo e che rivela una notevole potenzialità di danno, superiore al normale ed apprezzabile in un momento anteriore all’evento dannoso, così da consentire all’operatore la predisposizione di adeguate misure di prevenzione e da costituire il parametro di commisurazione della diligenza dovuta, la cui mancanza integra la colpa presunta di cui all’articolo citato.

La presunzione di responsabilità posta dall’art. 2050 c.c. può essere vinta soltanto fornendo la prova particolarmente rigorosa a carico dell’esercente l’attività pericolosa di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire il danno, non essendo sufficiente la prova di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza. Ai fini dell’accertamento della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. il giudizio sulla pericolosità dell’attività (ossia su quella attività che, per sua natura o per i mezzi impegnati, renda probabile, e non semplicemente possibile, il verificarsi dell’evento dannoso, distinguendosi, così, dall’attività normalmente innocua, che può diventare pericolosa per la condotta di chi la esercita, comportando la responsabilità secondo la regola generale di cui all’art. 2043 c.c.), va espresso non sulla base dell’evento dannoso effettivamente verificatosi, bensì attraverso una prognosi postuma, sulla base delle circostanze di fatto che si presentavano al momento stesso dell’esercizio dell’attività ed erano conoscibili dall’uomo medio, o, comunque, dovevano essere conosciute dall’agente in considerazione del tipo di attività esercitata.

L’art. 2043 c.c. chiude il sistema risarcitorio garantito dal codice ogni volta che un fatto doloso o colposo cagioni ad altri un danno ingiusto.


Articolo tratto dalla rubrica “Dottrina” de Il Condominio Nuovo”. Per leggere molti altri interessanti articoli collegati a: shop.ilcondominionuovo.it e abbonati alla rivista.

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