L’applicabilità della disciplina condominiale dopo la riforma

Avv. Rodolfo Cusano – Il Condominio Nuovo


I soggetti cui si applica l’istituto condominiale

Al fine di meglio chiarire la portata dell’art. 1117 bis del codice civile e,  quindi determinare a chi si applicano le norme di cui al Libro III della proprietà, Titolo VII della comunione, Capo II “Del condominio negli edifici” occorre precisare che trattasi di quell’istituto, avente regole sue proprie, diverse da quelle che regolano la comunione.

Istituto che disciplina tutti i casi in cui: “più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.”  

L’allargamento dell’originaria previsione data dall’art. 1117 c.c. (vecchio testo) solo ad un fabbricato composto da più piani, è servita al legislatore ad eliminare le incertezze applicative che sussistevano ad in ordine all’applicazione delle regole condominiali nei  casi di:  condominio orizzontale, supercondominio, condominio minimo, ecc.

L’esigenza di certezza è evidente allorchè dal testo dell’art. 1117 c.c. la legge di riforma ha eliminato il riferimento al fabbricato e sostituito lo stesso con il riferimento alle singole unità immobiliari dell’edificio.

Così facendo, da un lato si è mantenuto il riferimento all’edificio, dall’altro si è estesa l’applicazione dell’istituto condominiale a tutti quei casi (molteplici nella pratica) in cui uno o più unità immobiliari o edifici abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c.

Da ciò che l’interprete non dovrà più far fatica nello stabilire a chi applicare l’istituto:

a) quando vi è un’espressa previsione normativa; e mi riferisco all’ipotesi di un solo edificio e della multiproprietà indicate espressamente dall’art. 1117 c.c.;

b) quando pur in mancanza di un preciso riferimento normativo,  si verifichino e sussistono le condizioni di cui all’art. 1117 bis e cioè che tra più unità immobiliari o edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici sussistono parti in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c.

Ciò sta a significare che dall’originario edificio, oggi si è passati ad una platea di soggetti più ampia che comprende qualsiasi unità immobiliare, sopra terra o addirittura sottoterra. Si immagini ad esempio delle grotte aventi accesso comune ed altri servizi in comune, quali: la guardiania, l’illuminazione, il cancello di ingresso, ecc. E’ stata quindi ampliata l’applicazione anche alle villette ad un solo piano, ai garages sopra o sotto terra, ma cosa più importante di tutte: la scelta nell’applicabilità della disciplina della comunione  ovvero quella sul condominio deve seguire l’unico principio dell’esistenza o meno dei cd. beni in comune.

La proprietà separata  e quella superficiaria

Premesso che, anche nella nuova versione, nell’art. 1117 c.c. è rimasto il riferimento  ai proprietari ed all’edificio, occorre considerare che:

a) per aversi condominio occorrono più proprietari e quindi almeno due persone (da ciò che la nascita del condominio si fa risalire al primo atto di vendita in cui il costruttore aliena il primo appartamento);

b) che su detto edificio deve, conseguentemente, sussistere  la proprietà separata o superficiaria su piani o su appartamenti ovvero secondo la riforma su singole unità immobiliari.

Infatti, in generale qualora si costruisce su di un terreno, in virtù del principio dell’accessione (art. 934 c.c.) tutto ciò che si è costruito diventa automaticamente del proprietario del suolo. Questa presunzione però può essere vinta mediante il titolo. Tale titolo è proprio il rogito notarile di compravendita tra un terzo ed il proprietario del terreno dal quale si evince che il primo abbia acquistato la proprietà di una costruzione già esistente ovvero il diritto di farne una nuova.

Si tratta quindi di una proprietà superficiaria ovvero distinta su cose sovrapposte. Qualora, il proprietario del terreno invece mantenga la proprietà dei primi piani, parleremo allora di proprietà separata ( vedi  Salis – Ed. 1959 – Il condominio negli edifici, pagg. 3 e 4).

Da tale coesistenza di più proprietà separate deriva l’esigenza di imporre limiti nel godimento delle cose di cui ciascuno ha la proprietà esclusiva nonchè quella di disciplinare l’uso ed il godimento delle parti comuni dell’edificio.

I beni in comune: strumentali e per destinazione

Da queste preliminari considerazioni scaturisce la primaria necessità di individuare quali siano i beni in comune cui ci riferiamo:

a) di essi l’art. 1117 c.c. fornisce un elenco non tassativo;

b) in virtù dell’art. 1123 terzo comma non  è vero che tutti i beni appartengono a tutti i condomini ma è vero invece che nel caso in condominio esistano, più scale, più tetti, più cortili, ecc. detti beni appartengono solo a chi li usa. Tale principio meglio chiamato del “condominio parziale” è ormai di pacifica applicazione sia in dottrina che in giurisprudenza.

A questo punto possiamo introdurre il ragionamento logico per capire se siamo in presenza o meno di un bene in comune.

La coesistenza di beni accessori a beni in proprietà singola è stata la discriminante usata nelle parole del Prof. Terzago per attribuire al condominio la particolarità di essere una disciplina autonoma, sia pure generata dalla comunione. Egli definiva appunto il condominio come caratterizzato dal : ”nesso indissolubile tra proprietà singola e proprietà comune“. Tale considerazione, come abbiamo appena detto è vieppiù confermato dai principi cui si è ispirata la recente riforma.

La presunzione che i beni siano in comune di cui all’art. 1117 c.c. fonda sul presupposto che il bene  stesso sia destinato o serva all’uso comune. Tale presunzione non può  nemmeno essere superata dal diritto di accessione posto che, in condominio, deve necessariamente esserci un titolo inteso come negozio giuridico ovvero un’usucapione; che appunto impediscono l’operare dell’accessione.

Essa presunzione può invece essere vinta alda un’espressa previsione contraria indicata nel titolo  costitutivo del condominio,  nel senso che ove nel rogito notarile di vendita del primo appartamento il proprietario non operi un’espressa riserva di proprietà di quelli che sono i beni accessori; essi si considerano in comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. ( Cass. Sez. Un. del 7.7.93 n. 7449).

Chiarita quale è la portata della disposizione normativa appena citata, per completezza di disamina occorre precisare che,  i beni accessori sono tali perché servono i beni principali (unità immobiliari), oppure possono essere accessori anche per destinazione prevista nel titolo. Ciò accade quando anche se strumentalmente non appaiono collegati, in quanto ad utilità, alle singole unità, essi comunque sono destinati a servirle per espressa volontà delle parti: Tale previsione può essere inserita nel regolamento contrattuale di condominio  e pi questo a sua volta recepito nel primo rogito notarile di vendita ovvero direttamente in quest’ultimo.

Per esempio: in assenza di volontà contraria, gli spazi destinati a parcheggio vengono a ricadere – per effetto del vincolo pertinenziale di cui si è detto – fra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c.. In proposito, è appena il caso di ricordare che il diritto di condominio su un bene comune presuppone la relazione di accessorietà strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva agli impianti o ai servizi di uso comune, rendendo il godimento del bene comune strumentale al godimento del bene individuale e non suscettibile di autonoma utilità, come avviene invece nella comunione. Al fine di stabilire se siano stati o meno esclusi dal novero delle cose comuni previste dall’art. 1117 cod. civ. ovvero se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui alla norma citata, va fatto riferimento esclusivamente all’atto costitutivo del condominio, e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dell’originario unico proprietario dell’intero fabbricato – comportante il frazionamento della proprietà dell’edificio: peraltro, da tale atto devono risultare in modo chiaro ed inequivocabile elementi rivelatori della esclusione della condominialità del bene, non potendo tali beni successivamente essere sottratti alla loro destinazione comune (Cass. N. 26253  del 22.11.2013).

Ulteriore conseguenza di quanto disposto dall’art. 1117 c.c. è che, quando manca il titolo e non è disposto altrimenti, la norma dettata dall’art. 1117 c.c. disciplina l’attribuzione del diritto di condominio (non la semplice presunzione).

Infatti, diversamente da quanto è scritto nell’art. 880 c.c. (“il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune”) e art. 881 c.c. (“si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini ed orti appartenga al proprietario …”), i quali disciplinano la cosiddetta presunzione relativa – ovverosia l’effetto preclusivo di grado inferiore – la formula dell’art. 1117 c.c. non parla di presunzione: dice che sono “oggetto di proprietà comune”.

Non contempla un fatto di conoscenza, ma un fatto di attribuzione del diritto. Per cui possiamo dire che, quando il titolo non dispone altrimenti, il diritto di condominio nasce dalla legge (Cass. 29.01.2007 n. 1788).

Nel caso di trasferimenti delle unità immobiliari site nell’edificio, se con l’atto negoziale non viene manifestata esplicitamente una diversa volontà, la legge riconduce alle parti accessorie – alle cose, agli impianti ed ai servizi di uso comune, individuati tramite il collegamento materiale e funzionale – gli effetti acquisitivi derivanti dagli atti concernenti i beni principali, cioè i piani o le porzioni di piano.

Dal codice, questi (i piani o le porzioni di piano) sono considerati come beni principali; gli altri (le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune) come beni accessori. In virtù del collegamento strumentale – materiale e funzionale, configurato rispettivamente dalla necessità per l’esistenza o per l’uso, ovvero dalla destinazione all’uso o al servizio – l’efficacia del fatto traslativo riguardante i beni principali (i piani o le porzioni di piano) si propaga ai beni accessori (alle cose, gli impianti ed i servizi di uso comune), secondo il principio accessorium sequitur principale (art. 818 c.c., comma 1).

L’irrilevanza della destinazione dell’immobile

Ultima precisazione è quella che per l’applicazione del regime condominiale non è importante la destinazione delle unità immobiliari. Nel senso che ciò che necessita è di essere in presenza di unità immobiliari.  Poi, esse possono avere la più diversa destinazione: abitativa, deposito, negozio, centro commerciale, alberghiera, ecc.

Per dimostrare la compatibilità del regime di condominio con la destinazione alberghiera ad esempio  (quindi, per dimostrare che la destinazione alberghiera non impedisce il sorgere del regime del condominio e, viceversa, e quindi che il mutamento della destinazione non raffigura il presupposto necessario per la costituzione dell’assetto condominiale), basta considerare, che in uno stesso edificio, possono ben esistere più unità immobiliari soggette a proprietà esclusiva ed a destinazioni diverse e che in questi casi insorge il regime del condominio (per esempio, i primi piani sono destinati ad albergo, i piani alti destinati ad abitazione; oppure, nello stesso edificio possono essere collocati due alberghi distinti appartenenti a proprietari diversi).

Da questa considerazione particolare scaturisce una proposizione di ordine generale. Una cosa è la destinazione dell’uso; altra la coesistenza dei diritti di proprietà e di condominio. Le due situazioni giuridiche sono del tutto separate ed autonome.

Il regime del condominio non dipende  quindi dalla destinazione d’uso delle cose in proprietà esclusiva, sebbene dall’esistenza nello stesso edificio di più proprietà separate.

Per cui possiamo concludere dicendo con i principi già affermati dal Terzago che, anche secondo la recente riforma, è del tutto irrilevante la destinazione della proprietà, determinata dalle norme concernenti l’urbanistica, il paesaggio, l’ambiente etc., perchè per l’esistenza del regime del condominio è necessaria e sufficiente l’esistenza – assieme a quella delle unità in proprietà esclusiva – di cose, impianti e servizi destinati all’uso comune.


Articolo tratto dalla rubrica “Dottrina” de “Il Condominio Nuovo”. Per leggere molti altri interessanti articoli collegati a: shop.ilcondominionuovo.it e abbonati alla rivista.

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