Il reinverdimento delle città

Redazione “Il condominio Nuovo”


Gli argomenti di questa pubblicazione si collocano a metà strada fra le modalità in cui l’attuale società interpreta il proprio rapporto col mondo vegetale, e questioni più tecniche, legate alle corrette pratiche cantieristiche per la messa in opera e gestione del verde nel lungo periodo. Tale tipo di dibattito s’inserisce, peraltro, all’interno di una pratica edilizia ed urbanistica talvolta dicotomica: se da una parte l’opinione pubblica inizia a riconoscere i benefici degli apparati vegetali esprimendo il bisogno d’un più alto livello di commistione fra i propri stili di vita e la natura, dall’altra vi sono numerosi casi in cui il verde urbano verte oggi in stati di degrado o d’abbandono, o, peggio, risulta su più fronti minacciato da metodologie pianificatori e scarsamente lungimiranti. Il verde non può più essere considerato come uno scomodo standard edilizio derivante dalle zonizzazioni dei piani regolatori (e quindi da relegare il più possibile all’esterno del nucleo del progetto al fine di massimizzare le superfici vendibili o le volumetrie urbane), ma andrà semmai valutato come un fattore di valorizzazione dello spazio metropolitano; un apparato generatore di spazio, attorno a cui instaurare le molteplici relazioni che danno luogo a zone urbane vitali e vivibili.

Per contro, però, bisognerà porre attenzione anche a non correre il rischio opposto, ossia che esso diventi un prodotto “alla moda”, inserito di default all’interno del disegno urbanistico ma senza conoscerne le reali peculiarità e le problematiche connesse 8 . Il fatto di operare con la materia vegetale senza comprenderne le intrinseche particolarità ne provoca, nella maggior parte dei casi, repentini decadimenti qualitativi ed inaspettati innalzamenti dei costi di mantenimento.

Attorno a tali questioni ruota il ruolo esercitato dalla ricerca scientifica.

Questa, anche in virtù della succitata domanda di sostenibilità proveniente dalla società, si è prodigata molto, nell’ultimo periodo, nello studio delle relazioni che intercorrono fra presenza di verde e climatologia; e quindi anche, di conseguenza, sul rapporto fra organismi vegetali e ambiente costruito.

Il risultato di tali ricerche sono una serie di dati inequivocabili circa l’importanza delle piante non soltanto riguardo all’igiene urbana o alla salute psicofisica dell’uomo, ma anche nei confronti della qualità urbana e delle conseguenti ripercussioni positive dal punto di vista socioeconomico:

esternalità sulle spese sociali in favore delle cure mediche, minori emissioni di gas serra in atmosfera, maggior vivibilità urbana, minori spese per il rispetto di direttive comunitarie sulle emissioni ecc.

La movimentazione culturale legata al re-inverdimento della città

Il fermento socio-culturale appena introdotto è supportato da numerose iniziative che provengono dal basso e che mirano con forza, ove il legislatore o gli amministratori dimostrino un qualche ritardo, a riappropriarsi di quegli spazi vegetali che negli ultimi decenni sono andati progressivamente scomparendo. Alcune di queste sono iniziative di urban gardening promosse autonomamente dalle persone all’interno delle proprie proprietà,

mentre altre sono del tutto simboliche o provocatorie, come ad esempio quelle identificabili col movimento del Guerrilla Gardening (Fig.1);

fig1

ma tutte hanno il pregio di dimostrare quale sia l’effettivo stato dell’arte attuale e di contribuire a stimolare ulteriormente un dibattito in tal senso.

Se infatti quelli appena citati sono movimenti a promozione volontaria, sono rilevabili altrettante azioni promosse da associazioni e personalità autorevoli, come ad esempio il progetto per Torino de La Rivoluzione Vegetale; ove si è immaginato di inverdire completamente strade ed edifici del capoluogo piemontese con l’obiettivo di far coesistere nel medesimo ambiente i principi di un’architettura maggiormente simbiotica col paesaggio naturale, con le esigenze di una metropoli moderna.

Altro argomento che manifesta la “spinta verde” riscontrabile a livello planetario, e che ha a che fare in modo diretto con l’ultimo livello degli obiettivi della presente pubblicazione, è quello dell’agricoltura urbana.

Anche in questo caso, in netta controtendenza rispetto al modello comportamentale che negli scorsi decenni ha contraddistinto la costante scomparsa delle conoscenze legate all’agricoltura tradizionale (specialmente quella auto-prodotta ed estensiva), si sta ultimamente registrando una riscoperta dei valori legati alla terra ed alla produzione agricola, sia come attività portatrice di benessere e salubrità psicofisica, che come elemento per fronteggiare le contingenze economiche attuali.

Assumono perciò importanza movimenti come il francese Incroyables comestibles (tr. incredibilmente commestibili) o il suo corrispettivo anglosassone Food to share (tr. cibo da condividere). Entrambi questi sono basati sull’utilizzazione di luoghi pubblici e spazi urbani ai fini della coltivazione orticola, con l’obiettivo di produrre frutta e verdura destinata al proprio sostentamento o da condividere col prossimo, tentando di controbilanciare gli effetti della crisi economica che sta attanagliando i Paesi industrializzati. Tali questioni sono peraltro convergenti con quelle che hanno mosso verso il progetto statunitense The Urban Farming Food Chain, che sfrutta alcune pareti verticali di spazi urbani per la coltivazione di piante commestibili da destinare a classi sociali disagiate.

Ma se la tematica dell’agricoltura urbana è ormai diffusa alla piccola scala in Italia e all’estero, si citano di seguito, a titolo puramente esemplificativo, altri due casi che recentemente, oltre ad aver dimostrato una sostanziale crescita d’interesse nei confronti dell’argomento, ne hanno anche dato una visibilità molto ampia.

La prima è l’installazione temporanea Nature Capitale, realizzata a Parigi nelle giornate del 23 e 24 maggio 2010 in occasione della Giornata Mondiale della Biodiversità.

Nell’area degli Champs-Elysées l’artista Gad Weil realizzò un parco urbano delle dimensioni di tre ettari, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su argomenti come biodiversità, coltivazioni agricole e rapporto uomo-natura. Weil installò nella strada più famosa di Parigi dei suoli agricoli temporanei, ospitanti una varietà di 150 specie, 650 alberi, 8.000 orti in cassetta, 11 alberi giovani e 150.000 piante giovani, che venivano per l’occasione seminate, trattate, lavorate e raccolte al fine di mostrare, ai quasi due milioni di visitatori, i vegetali che ogni giorno danno lavoro ad agricoltori e professionisti forestali francesi.

Il secondo caso è l’“orto planetario” che caratterizzerà gli spazi dell’Expo di Milano 2015, il cui tema portante è contraddistinto dallo slogan Nutrire il Pianeta, Energie per la vita.

È quindi evidente come il tema degli orti urbani non sia assolutamente da identificarsi come una moda estemporanea. Tale tipo di movimento, non soltanto operativo ma anche profondamente culturale, è supportato, ai diversi livelli, dall’opinione pubblica e dalle società di numerose latitudini; ma se nelle Nazioni del cosiddetto “primo mondo” questo può essere per certi versi considerato un aspetto ancora marginale (seppur in crescita), nei Paesi più poveri diviene un fattore fondamentale di sopravvivenza(Fig.2 e Fig.3).

fig2

fig3

La spinta esercitata dalle pubbliche amministrazioni

In Italia non esiste nessuna Legge che renda cogente l’utilizzo del verde nella riqualificazione edilizia, benché sia viceversa reperibile un discreto – e crescente – numero di regolamenti locali, tutti recenti, che premiano mediante modalità differenti l’adozione di vegetazione integrata all’architettura.

Negli ultimi anni vi sono state diverse azioni da parte di enti locali nel tentativo di favorire la ri-comparsa del verde pensile 15 in ambito urbano, soprattutto per le sue capacità di mitigazione ambientale.

La situazione internazionale

Città tedesche come Amburgo e Wiesbaden fin dagli anni ’80 del ventesimo secolo svilupparono regolamenti di fabbricazione tesi ad aumentare il più possibile la percentuale vegetata di tetti e pareti di edifici; mentre a Colonia, nel 1993, venne adottato un “«Regolamento per lo sviluppo degli interventi privati di inverdimento” con prescrizioni in materia di inverdimento dei cortili interni, di facciate, di tetti e di giardini prospicienti le case, anche in affitto” (Bellomo 2003, 43), al fine di favorire la riforestazione urbana mediante alcune sovvenzioni elargite dalla municipalità in proporzione all’entità e alla tipologia dell’opera. Inoltre sempre a Colonia, a partire dal 1994, fu attuato uno specifico programma di sviluppo urbano finalizzato a sovvenzionare coloro che realizzassero delle facciate a verde.

Berlino è stata probabilmente la municipalità che prima e più di tutte ha operato in tal senso: oltre alla creazione di uno strumento che premia la quantità e la qualità degli interventi realizzati dai privati, la capitale tedesca è stata anche un modello per altre città. A Berlino, fin dal 1973, sono state messe a punto delle metodologie operative destinate a premiare iniziative di miglioramento dell’ambiente antropico tramite l’inverdimento dello spazio costruito.

Il risultato più interessante della municipalità berlinese è sicuramente il BAF, acronimo di Biotope Area Factor e risalente al 1994: esso, oltre ad essere il primo nel suo genere, ha poi ispirato molteplici altre sperimentazioni nel mondo. Il BAF è un indice finalizzato a definire la superficie da destinare a verde, o ad altre funzioni ecosistemiche, quando ci si accinga all’edificazione. Esso si applica a tutte le forme di fabbricazione indipendentemente dalla loro destinazione d’uso, sia per le attività di recupero edilizio che nelle nuove costruzioni, ed indica degli standard ecologici minimi da rispettare. Per ogni tipologia di opera viene stabilito un punteggio calcolato in base a un apposito algoritmo, che rappresenta il BAF specifico dell’intervento; ogni tipo di fabbricato riceve un coefficiente moltiplicatore compreso fra 0 e 1 (per le coperture a verde il coefficiente è di 0,7;  per pareti rivestite da vegetazione, 0,5; superficie impermeabile all’aria e all’acqua senza vegetazione, 0,0; superfici vegetate connesse al suolo e finalizzate allo sviluppo di flora e fauna, 1,0), che serve a calcolare il punteggio finale di ogni opera e che dovrà a sua volta essere superiore a un valore minimo stabilito dalla municipalità. Il BAF è quindi uno strumento di facile applicazione, teso a stabilire in maniera efficace l’effettiva entità di verde di un insediamento.

La metodologia messa a punto a Berlino è stata ripresa nel 2001 dalla città di svedese di Malmö, mediante l’adozione del Green Space Factor (GSF). Il modello adottato ai fini del calcolo corrisponde a quello del BAF, ma l’innovazione consistette nel rendere maggiormente premiante l’utilizzo di facciate e coperture a verde (rispettivamente 0,7 e 0,8).

Anche la città di Seattle si è dotata nel 2007 di uno strumento similare, pervenendo al Seattle Green Factor (SGF). L’esperienza della metropoli statunitense è particolarmente interessante poiché considerò alla stessa stregua coperture a verde e pareti vegetate: l’SGF, infatti, consegna a entrambe un coefficiente di 0,7. Tale provvedimento và probabilmente interpretato alla luce della forte crescita odierna dei sistemi per il verde verticale (cfr. capitolo 6), nonché conseguentemente al fatto che nei tessuti urbani caratterizzati da una notevole altezza media le superfici verticali a disposizione sono maggiori di quelle di copertura (Fig.4).

fig4


BIT Edoardo (a cura di), 2014. Come costruire la città verde – Dalla riqualificazione edilizia all’urban farming. Sistemi Editoriali

Tratto dalla rubrica “Attualità” Il Condominio Nuovo. Per leggere molti altri interessanti articoli collegati a: shop.ilcondominionuovo.it e abbonati alla rivista.

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